Le prove della fede di un boscaiolo sangioriese: Vincenzo MARTIN
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domenica 04 giugno 2017

MARTIN Vincenzo (1868-1935)Premessa.

Per inquadrare il contesto in cui accaddero gli eventi, riporto un estratto della pagina 102 del libro di Don Natalino BARTOLOMASI, "Memorie da San Giorio Susa Novalesa e Valle - dentro e oltre", Grafica 2, Villar Dora (TO), marzo 1995, che nel capitolo X tratta di San Giorio - La Città [n.d.r.: trattasi di una borgata a monte di San Giorio di Susa, sul versante orografico destro della Dora Riparia], descrivendo la Parrocchia di Sant'Anna della Borgata Città e delle tre Cappelle, tra cui quella di Borgata RE dedicata all'Apostolo San Matteo, luogo in cui visse il protagonista, Vincenzo MARTIN con la sua famiglia.

Don Bartolomasi arricchisce la descrizione del contesto riprendendo a sua volta un estratto del "Diario" di Giovanni Battista SCRAJBER (1873-1958), Pastore della Chiesa Battista di Meana (TO) e poi Sant'Antonino di Susa (TO), pubblicato in forma di fascicolo intitolato "L'evangelizzazione cristiana battista nella Valle di Susa, dai ricordi del pastore G.B.SCRAJBER", che accorpa i contenuti pubblicati in vari numeri sulla Rivista "Il messaggero evangelico - Il Testimonio -" a cura di Nunzio Palminota dal marzo 1962 al dicembre 1963.

Ecco il testo:

"Nell'inverno tra il 1900 e il 1901, il Comune di Mattie, dava in appalto un taglio di bosco di sua proprietà, in alta montagna. Cosa che si ripeteva ogni 25 anni. Il lavoro fu assunto da una squadra di boscaioli e carbonai consorziati, tutti del comune di San Giorio; gli uni della borgata Re e gli altri della Borgata Città: le due borgate situate più in alto e perciò ancora più lontane dal capoluogo. Nella Borgata Città, la più grande, c'era la scuola, alcuni negozi e la chiesa con un Vice Parroco, le cui condizioni economiche erano tutt'altro che floride. [...]

Il capo squadra dei boscaioli [...] era un certo Martin Vincenzo della Borgata Re, il solo che sapeva leggere un po' bene; gli altri suoi colleghi erano quasi tutti analfabeti. Costui, con qualcuno dei suoi compagni, saputo che a Mattie esisteva una Riunione Evangelica, incominciò a frequentarla con crescente interesse, e divenne uno dei nostri più assidui simpatizzanti. [...] Alla domenica sera [lui e i suoi compagni] assistevano alla lezione della Scuola Domenicale, che impartivo ai bambini, e poi [...] agli adulti.

Dopo ogni adunanza, si fermavano ancora a discorrere con noi, facendo sempre molte domande e chiedendo più ampie spiegazioni. Quasi sempre, al momento della separazione, qualcuno di loro, ma specialmente l'amico Martin Vincenzo, mi diceva: "Queste cose lei le dovrebbe venire a dire nelle nostre borgate. Vorremmo che anche le nostre donne e i bambini le udissero". Io facevo finta di non capire perché mi rendevo benissimo conto che aderire al loro desiderio, significava, per me, assumere un compito né lieve né facile. Infatti, andare da Meana a San Giorio, tra l'andata e il ritorno, occorrevano almeno cinque ore di marcia.. Giunto sul posto, un'ora di adunanza, più un'altra di conversazione, che sovente risultava più utile e più efficace della stessa predicazione ... Insomma, prevedevo che ogni qual volta ci fossi andato , rimanevo impegnato per almeno sette od otto ore. Temevo che, se aderivo al loro desiderio, sarei poi stato costretto a trascurare un poco l'opera di Meana e quella di Mattie, che a quel tempo, non ostante le molte difficoltà, erano pur sempre molto incoraggianti.. Esitavo dunque a decidermi.

[...]

Una sera però che l'amico Martin Vincenzo insisteva più del solito, chiesi e dissi loro: "Ma perché insistete tanto?" [...] "Perché siamo stufi e stanchi del nostro prete. Spaventa i nostri bambini e insegna loro a mentire e a rubare". "Impossibile!" diss'io. Mi risposero in coro: "Si. è proprio così". Chiesto che si spiegassero meglio, mi risposero: "Noi mandiamo i nostri bambini al Catechismo, e lui invece di parlare loro di Dio e di Gesù Cristo, come fa lei, parla a loro sempre ed unicamente del diavolo e dell'inferno, dove sicuramente andranno appena morti. Capita sovente che di notte i nostri bambini sognano il diavolo che pianta il tridente nel loro stomaco e li porta all'inferno. E allora piangono, strillano, si disperano, non vogliono più dormire da soli nel loro lettuccio. Il solo modo per evitare l'inferno, dice il prete, è far celebrare delle messe, ma ogni messa costa cinque lire [...]. I bambini devono quindi , in qualche modo, procurarsi questa somma. Come fare? Ecco, dice loro il prete, quando i vostri genitori vi mandano a comprare qualche cosa, compratene sempre per un soldo o due di meno. Quel soldo lo portate a me, ed appena raggiunta la somma occorrenteio celebro la messa per voi e sarete salvi dall'inferno, e il diavolo non potrà più farvi alcun male".

[...]

verso la metà di Aprile, presi la decisione di aderire al loro desiderio [...]

[...]

Per il prosieguo della storia del nostro devoto boscaiolo passiamo ora al già citato fascicolo "L'evangelizzazione cristiana battista nella Valle di Susa, dai ricordi del pastore G.B.SCREJBER", pag. 80:

[...]

"Adesso che l'opera a San Giorio era incominciata, era questione di continuarla, ma come?

Le difficoltà erano molte e anche gravi. Prima fra tutte quella di trovare un locale per le riunioni.

Vicino all'abitazione dell'amico [Vincenzo] Martin c'era una casa non ancora ultimata, ma già da oltre dieci anni completamente abbandonata: consisteva nelle quattro mura ricoperte da un tetto in cattive condizioni. Il proprietario, emigrato all'estero, non dette più notizie di se. Durante i mesi estivi ci radunavamo tra quelle quattro mura. Non vi era alcun genere di pavimentazione, ma solo nuda terra, e poiché ci doveva essere una infiltrazione d'acqua, forse una sorgente, entrare in quella casa significava ingolfarsi in un pantano. Quando pioveva si trasformava addirittura in un laghetto, di maniera che alcuni ci venivano a piedi nudi, altri si portavano dei sassi o dei mattoni su cui posare i piedi.

Evidentemente non si poteva continuare così col sopraggiungere della stagione fredda. Perciò una domenica dissi all'amico Martin: "Mi provveda un altro locale, altrimenti io non ci vengo più". Non trovandolo, Martin finì per dirmi: "Ebbene, riuniamoci in casa mia, d'estate in cucina e d'inverno nella mia stalla. Occorreva però di avere il consenso dei familiari, soprattutto quello di suo padre e di sua madre.

Mi rivolsi allora a Bartolomeo Martin (il padre di Vincenzo) e con lui stipulai il seguente contratto: dietro compenso di L. 50 annue, lui concedeva a me, nella stagione estiva, l'uso della cucina, e nella stagione invernale l'uso della stalla. come luogo di riunioni pubbliche da tenersi due volte a settimana e cioè ogni domenica mattina, e ogni mercoledì sera.

Di questo accordo, che ci assicurava un locale dove tenere le nostre riunioni, tutti erano contenti, tranne una persona, la moglie di Vincenzo Martin. Del resto non saprei quale altra, al posto suo, sarebbe stata contenta.

Alla domenica, più che negli altri giorni, ella aveva bisogno di sentirsi libera nella sua cucina, perché doveva preparare il desinare per tutta la famiglia riunita al completo e composta di otto persone. Invece, proprio dalle ore 10 alle 12, la sua cucina era invasa da una ventina di bambini che venivano per la Scuola Domenicale, bambini chiassosi e gli uni più degli altri indisciplinati. Via questi, venivano gli adulti, una sessantina, soprattutto uomini e giovanotti quasi tutti con la pipa in bocca.

Con questa gente in cucina, la povera donna si trovava molto ostacolata nei suoi movimenti e non poteva attendere con cura alle sue faccende domestiche. Perciò divenne a noi ostile e la sua ostilità, la manifestava apertamente, tanto che suo marito sovente la rimproverava.

Sentendosi né compresa né compatita neppure dal marito, anzi da lui sgridata, incominciò ad odiarlo, augurandogli una morte precoce, a breve scadenza.

Quindi, aizzata da alcune bigotte e fanatiche di altre borgate, nella sua esasperazione, cercò il modo di procurargliela essa stessa.

Pensò al veleno, ma come procurarselo?

Nella sua ignoranza, (era analfabeta) prese del vetro, lo pestò nel mortaio di pietra, lo ridusse in polvere e lo mescolò allo zucchero e glielo mise nella tazza di caffé caldo che, d'inverno, era abituato a prendere.

Assaggiato il caffé (caffé per modo di dire) [Vincenzo] lo trovò amaro.

Forse non ben rimescolato, lo zucchero non si era ancora sciolto.

Lo rimestò di nuovo, lo assaggiò, era come prima.

Disse allora alla moglie: "Ma che zucchero hai comprato? Non si scioglie e resta in fondo alla tazza come sabbia".

Il bambino di dieci anni, che aveva visto quello che aveva fatto la mamma fin dal giorno avanti, disse: "Non è mica sabbia, è vetro!".

La mamma gli diede uno schiaffo dicendogli: "Taci stupido!".

Ma il padre si fece raccontare tutto dal bambino, intuì lo scopo per cui la moglie aveva agito così, ed infuriato le diede due ceffoni.

Ognuno può immaginare il pandemonio che ne seguì...

Solo dopo un certo tempo tornò la pace tra i due coniugi.

[...]

Il testo integrale si trova nel fascicolo "L'evangelizzazione cristiana battista nella Valle di Susa, dai ricordi del pastore G.B.SCRAJBER" da pag. 71 a pag. 87.


Ultimo aggiornamento ( domenica 09 settembre 2018 )